Cassazione Penale, sentenza n. 9568 del 6 marzo 2024.
MASSIMA:
“Quanto all’asserito comportamento abnorme del lavoratore, si è efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro.”.
CONCETTO TRATTATO:
La posizione di garanzia dell’imprenditore discende dalla sua qualifica di datore di lavoro dell’infortunato, con esclusione della condotta abnorme del lavoratore.
COMMENTO:
Un datore di lavoro proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello con la quale era stata confermata la pronuncia di condanna del Tribunale in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen. (lesioni personali colpose), commesso con violazione di norme in materia di infortuni sul lavoro.
La difesa sosteneva una errata applicazione della legge penale, e conseguente contraddittorietà ed illogicità della motivazione, in ordine alla posizione di garanzia rivestita dall’imputato nella vicenda in esame ed in ordine alla ritenuta esclusione della condotta abnorme del lavoratore.
La Corte, con sentenza n. 9568 depositata il 6 marzo 2024, dichiarava il ricorso inammissibile.
La Cassazione, infatti, sottolineava come la posizione di garanzia dell’imputato era stata fatta discendere dalla sua qualifica di datore di lavoro dell’infortunato, il quale, mentre era intento ad effettuare lavori di pitturazione, precipitava da un’impalcatura, priva di fermi funzionanti e non idonea a consentire il raggiungimento di tutte le parti dell’edificio da verniciare.
Il lavoratore, da un lato, serbava una condotta imprudente in quanto, per raggiungere le parti su cui doveva operare, provocava lo spostamento dell’impalcatura saltellando sulla sua piattaforma, precipitando poi al suolo.
Tuttavia, le violazioni alle norme antinfortunistiche individuate nei gradi di merito, riguardanti la mancata formazione del lavoratore e l’inidoneità dello strumento di lavoro messo a sua disposizione, per via del meccanismo di blocco non funzionante e delle misure insufficienti, venivano solo genericamente contestate dall’imputato, il quale si limitava ad evidenziare come il lavoratore fosse esperto e formato.
In merito alla eventuale presenza di altre figure aziendali addette alla sicurezza, la Corte sosteneva che: “in ogni caso, anche a volere ammettere la presenza di altre figure garanti della sicurezza del lavoratore, in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione”.
Sotto altro aspetto, veniva confermato che il comportamento abnorme del lavoratore non può mai essere ravvisato in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce una concreta evenienza nella stessa organizzazione del lavoro.
Questo principio serve ad “evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari – interne o esterne al processo di lavoro – che connotano la condotta dell’infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso”.
Ritenuto che la Corte d’Appello avesse giustamente escluso la presenza di tali circostanze, la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.