di Salvatore Gigliotti e Alessandro Abbate
Uno degli aspetti da tener in considerazione per poter consentire, in condizioni di sicurezza, il riavvio delle aziende chiuse momentaneamente dai DPCM di marzo 2020 e per la riorganizzazione di quelle che hanno continuato a regime ridotto (attività dei soli reparti strategici) è l’approvvigionamento delle mascherine, che rappresentano ad oggi la misura di protezione principale per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid 19 negli ambienti di lavoro.
La stima del consumo mensile di mascherine all’ interno di un’azienda dovrà tener conto, per ogni mansione aziendale, del numero di turni giornalieri effettuati, del numero di lavoratori, del livello di rischio e della possibilità/impossibilità di distanziamento.
In caso di aziende con livello di rischio basso (ad esempio, il caso dei lavoratori del reparto manufatturiero) non sarà necessario fornire mascherine (Type II o FPP3) qualora sussista la possibilità di distanziamento; al contrario, sarà necessario fornirle in caso di impossibilità (FPP3) o semi impossibilità (Type II).
Nel caso di aziende con livello di rischio medio – alto (ad esempio, lavoratori in ambito sanitario), sarà necessario fornire mascherine (Type II) sia in caso di possibilità sia in caso di possibilità ridotta di distanziamento; si dovrà fornire mascherine FPP3 in caso di impossibilità di distanziamento. Un ulteriore aspetto che influenza la stima del conteggio delle mascherine è la percentuale di giorni lavorativi in smart working nelle mansioni che possono prevederlo (ad esempio, tutte le impiegatizie).
Al fine di operare una corretta riapertura tutte le aziende, con particolare attenzione per le più piccole (poiché prive di i canali di approvvigionamento diretto), devono dunque dotarsi di un numero di mascherine che sia coerente con le caratteristiche aziendali, le mansioni dei dipendenti e il numero degli stessi.
Suggeriamo di considerare una mascherina per turno di lavoro per ciascun lavoratore.
Come e quali scegliere?
Le mascherine chirurgiche pur non essendo propriamente un DPI, sono considerate tali in via straordinaria per il periodo di emergenza nazionale. Ciò è dovuto essenzialmente alla penuria delle maschere con filtro FFP2 e FFP3. Per quanto riguarda le mascherine non marcate CE, il Decreto Cura Italia introduce la possibilità di aggirare tale controllo presentando un’adeguata autocertificazione favorita dal produttore dell’indumento in primis agli enti che la devono approvare (ISS per le mascherine chirurgiche e INAIL per tutti i DPI, incluse le mascherine FFP2 e FFP3).
Inoltre, questa deroga viene giustificata e chiarita per tutti i lavoratori la cui attività non consente di mantenere la distanza minima di un metro dal prossimo e per i quali non è previsto l’utilizzo di uno specifico tipo di DPI.
Sul mercato si trovano anche mascherine “ad uso civile” o “non chirurgiche” che non sono Dispositivi Medici (DM) o Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) e non sono nemmeno recanti il marchio CE. Queste mascherina di provenienza incerta non si debbono considerare come parte delle dovute misure che si debbono adottare per proteggere i propri dipendenti.
Se il Datore di Lavoro vuole, invece, impiegare le mascherine dei tipi elencati nelle eccezioni consentite, è necessario che conservi l’autocertificazione o il marchio del produttore.