Pubblichiamo di seguito le risposte alle domande dei partecipanti effettuate durante l’evento.
Come viene valutato un infortunio che dovesse avvenire in una azienda che non faceva parte dei codici Ateco strategici e ha continuato a lavorare ugualmente?
RISPOSTA IN DIRETTA
Sarebbe possibile approfondire il modo in cui l’INAIL gestirebbe un infortunio avvenuto in un caso di colpa? Sarebbe ancora un infortunio se avvenuto in un’azienda che non poteva lavorare?
Avv. Gebbia: il fatto che l’azienda non potesse lavorare non è motivo per escludere la copertura Inail. Se così fosse i lavoratori resterebbero del tutto privi di protezione. L’Inail lo gestirebbe nello stesso modo in cui l’avrebbe gestito qualora l’azienda fosse autorizzata ad operare. Con la differenza che potrebbero trovare nella “mancanza di autorizzazione” un profilo di colpa ulteriore, nel senso che potrebbero sostenere che si è determinata una ingiustificata esposizione al virus in ambito lavorativo. Questo significherebbe che l’Inail, dopo aver effettuato le prestazioni, agirebbe in rivalsa nei confronti del datore di lavoro. In caso di colpa causalmente rilevabile potrebbe poi nascere anche il problema penale (lesioni colpose / omicidio colposo).
Ma quindi il Coronavirus anche se non contratto in azienda viene considerato come infortunio?
RISPOSTA DA CHAT: No. Il problema è determinare dove è avvenuto il contagio e la normativa previdenziale è ispirata al principio in dubio pro misero
Avv. Gebbia: va ancora precisato che l’Inail, nelle sue circolari in argomento, esprime chiaramente che il dubbio sulla eziologia del contagio (ambiente lavorativo / ambiente di vita) dovrebbe essere risolto a favore del lavoratore. Questo può avere un senso sotto il profilo previdenziale. Non ce l’ha, invece, sotto il profilo penale dove il principio del dubbio dovrebbe sempre risolversi a favore dell’imputato. L’Inail chiarisce che per accertare la c.d. “occasione di lavoro” bisogno utilizzare i criteri che normalmente vengono utilizzati. Faccio un esempio: se io ho un lavoratore contagiato, che viveva in casa con un parente positivo al virus, evidentemente ho quasi una presunzione che la causa sia extralavorativa. Se io ho un lavoratore contagiato, che dimostra di vivere da solo e di avere sempre osservato scrupolosamente tutte le restrizioni, ecco che le probabilità del contagio in ambito lavorativo crescono. Il problema, come sempre, sono i casi diciamo “normali”, dove non ho criteri che mi aiutino ed entrambe le soluzioni possono essere giuste. In questo senso consigliavo di pensarci molto bene prima di denunciare un caso di contagio come infortunio sul lavoro.
Dott. Montrano: se non contratto in azienda NO. Sono da ammesse alla tutela Inail i casi in cui sia accertata la correlazione con il lavoro. L’INAIL ha già spigato che per alcune categorie, per le quali si sia estrinsecato il cosiddetto “rischio specifico”, vale la presunzione di esposizione professionale. Invece per eventi che riguardano altri casi occorre applicare l’ordinaria procedura di accertamento medico-legale che si avvale essenzialmente dei seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.
Azienda di abbigliamento piemontese chiusa perchè non rientra nei codici Ateco, ma ha la possibilità di svolgere l’attività in e-commerce secondo un decreto regionale. Per spedire la merce acquistata online deve preparare i pacchi in magazzino, se dovesse accadere un infortunio, che ricadute potrebbe avere?
Avv. Gebbia: se l’Azienda in questione ha rispettato tutte le precauzioni stabilite, in particolare, dall’Accordo, appare difficile contestare un profilo di colpa. Dobbiamo considerare che tutte le precauzioni stabilite dall’Accordo non si applicano solo alle aziende che continuano a lavorare regolarmente, ma si applicano in ogni caso a tutte le attività lavorative. Ovviamente le precauzioni dovranno essere limitate alle attività che si svolgono. Nel caso di questa Azienda di abbigliamento saranno limitate all’attività di magazzino, di preparazione dei pacchi, etc. Questo vale , ovviamente, non solo per il rischio da covid 19 ma per tutti i rischi in ambito lavorativo. Insomma, se un addetto al magazzino si fa male usando il muletto mentre lavora in magazzino per preparare le consegne, abbiamo un infortunio sul lavoro al quale si applicano tutti i principi e le regole della materia, a nulla rilevando il fatto che l’attività rientri tra quelle “sospese”. Il fatto che sia ridotta l’attività dell’azienda non significa che si riduca anche il livello di prevenzione rispetto per le attività in essere.
Rientra tra gli obblighi del medico competente la segnalazione dei lavoratori fragili? In mancanza il datore di lavoro deve adottare altri parametri o può solo applicare le misure di prevenzione del protocollo?
Dott. Montrano: la segnalazione dei soggetti con particolare fragilità e con patologie attuali o pregresse è un compito che il protocollo del 14/03/2020 ha affidato al medico competente. Il protocollo del 14/03/2020 è diventato cogente in quanto espressamente richiamato dal DPCM 22 marzo 2020 art. 1 comma 3 che così recita “Le imprese le cui attività non sono sospese rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 14 marzo 2020 fra il Governo e le parti sociali”. Ritengo quindi che il datore di lavoro debba richiedere al medico competente quanto indicato dal protocollo. Ricordo che l’art. 26 comma 2 del decreto legge n. 18/2020 stabilisce che “fino al 30 aprile ai lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonchè ai lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della medesima legge n. 104 del 1992, il periodo di assenza dal servizio prescritto dalle competenti autorità sanitarie, è equiparato al ricovero ospedaliero di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto legge 2 marzo 2020, n. 9″. I lavoratori, che si riconoscano affetti dalle patologie riconducibili a quanto sopra possono rivolgersi al medico di famiglia.
Come giudica la facoltà del DDL di misura di temperatura prima dell’ingresso in azienda che sembra in contrasto netto con l’art.5 dello Statuto dei lavoratori?
Dott. Montrano: l’art. 5 dello Statuto dei lavoratori (Accertamenti sanitari) stabilisce quanto segue: “Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda. Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico”. La ratio della norma è indirizzata ad evitare che il datore di lavoro attui o persegua condotte discriminatorie. La facoltà di cui trattasi si pone l’obiettivo di impedire l’accesso ai locali aziendali da parte di lavoratori che potenzialmente potrebbero essere contagiati. Personalmente ritengo che la sola informazione nota al datore è quella legata alla temperatura corporea dei lavoratori e non della eventuale patologia, che, se del caso, dovrà essere accertata nei modi stabiliti dalla legge.
In merito ai DPI, data la carenza nell’approvvigionamento, possiamo introdurre una procedura di sanifcazione delle mascherine monouso?
Ing. Martin: la sanificazione / pulizia delle mascherine è ammissibile solamente nel caso in cui il produttore abbia indicato nella documentazione a corredo del DPI come deve essere effettuata. È sconsigliabile ipotizzare strategie di sanificazione / pulizia “fai da te”.
Anche i casi guariti sono infettivi?
Dott. Donghi: i casi guariti possono risultare infettivi se permane una carica virale sufficiente a livello delle mucose. Questa possibilità è confermata da casi di soggetti guariti sottoposti a doppio tampone con primo tampone negativo e secondo positivo
Alcuni lavoratori svolgono lavori insudicianti, quindi a termine lavoro diventa importante l’utilizzo della doccia, visto anche che andiamo verso un innalzamento della temperatura atmosferica. L’utilizzo della doccia sarà comunque da evitare, o è possibile utilizzarla magari limitando la temperatura dell’acqua ed il numero di docce contemporanemente utilizzabili? Quali potrebbero essere le misure da adottare?
Dott. Donghi: non ci sono motivi per ridurre lo standard igienico. Il contagio si verifica da uomo ad uomo. Pertanto anche in questo caso dovranno essere rispettati gli standard di pulizia delle superfici e la distanza fra persone. Pertanto non è il numero di docce che deve essere ridotto, ma il numero di persone contemporaneamente presenti nelle docce.
Quali sono i soggetti Fragili. L’età è da considerare come criterio di fragilità?
Dott. Donghi:soggetti fragili sono coloro che presentano, rispetto alla popolazione generale, un maggior rischio di contrarre la malattia e/o il rischio di manifestazioni più gravi ed un maggior rischio di complicanze in caso di malattia. L’età rientra fra le condizioni che determinano la fragilità. Dai 60 anni in avanti, in particolare sopra i 65 anni.
A quale gruppo appartiene il SARS-COV-2 ai sensi dell’Allegato XLVI del D.Lgs. 81/08?
Dott. Donghi: non è possibile dare una risposta “completamente corretta”. Nell’allegato al dlgs 81/08 sono inseriti gli agenti patogeni che è noto possano provocare malattie nell’uomo. Nell’elenco è compresa la famiglia dei coronavirus, classificati in categoria 2. La norma prevede anche che tutti i virus non inseriti nell’elenco, ma in grado di provocare una effetto patogeno nell’uomo siano classificati in classe 2.
Il virus SARS CoV-2 è però un virus nuovo, ma anche molto capace di provocare una malattia anche grave. Pertanto non è attualmente questa la classificazione che ritengo corretta, anche se dal punto di vista formale potrebbe esserlo.