di Stefania Scuteri
Il 90% delle nostre conoscenze sul funzionamento del cervello è stato scoperto negli ultimi 10, 15 anni. L’ambito sta uscendo dal mondo accademico ed è auspicabile che investa anche quello delle imprese. L’integrazione neuroscienze e apprendimento all’interno delle Organizzazioni potrebbe comportare solo vantaggi.
Tra i tanti risultati prodotti dalla ricerca, per quanto riguarda il mondo dell’azienda e dei comportamenti delle persone, assumono particolare importanza le scoperte relative al tema dell’attenzione, dei pensieri, delle emozioni in ambito salute e sicurezza.
È difficile, ad esempio mantenere l’attenzione focalizzata quando l’interesse per un’attività, una sessione formativa, una procedura di sicurezza o un’azione che si sta svolgendo è scarsa o addirittura inesistente. Succede perché di poco “appealing”, perché il nostro cervello è “pigro” e selettivo e funziona categorizzando gli stimoli e incasellandoli per somiglianza (economia cognitiva). Questo meccanismo ci irrigidisce nelle nostre posizioni, limitando le prestazioni e facendoci incorrere in errore.
Pertanto, se il cervello non viene stimolato nel modo giusto non si vengono a creare associazioni funzionali tra l’argomento trattato e le emozioni personali generate, che si tratti di un ambito formativo o di mera comunicazione interpersonale.
Quante migliori condizioni di lavoro potremmo creare e quanti più risultati potremmo ottenere con persone più motivate e consapevoli, se solo potessimo osservare cosa accade nel nostro cervello nel momento in cui acquisisce coscienza di un nuovo meccanismo più funzionale, di una nuova abitudine virtuosa.
Sempre in questa direzione, le neuroscienze, così come la biologia e la psicologia, hanno ampiamente dimostrato che la razionalità non può fare a meno dell’emotività, soprattutto nei processi decisionali. Ciascuno stimolo è elaborato dal nostro cervello sia attraverso processi cognitivi sia attraverso processi emotivi; questi ultimi sono addirittura più veloci. In altre parole, per garantirsi attenzione da parte del nostro interlocutore, è necessario saper esercitare una certa influenza sulle sue emozioni, scavalcando la sua parte razionale.
D’altronde siamo stati “costruiti” per decidere velocemente in funzione della nostra sopravvivenza (che ha evidentemente una valenza emotiva) e non per valutare le situazioni in modo freddo e razionale.
Ne consegue che gli esseri umani funzionano e imparano essendo fortemente influenzati da sentimenti, paure, dubbi, noia, preferenze e allo stesso tempo utilizzano schemi di reazione ripetitivi con i quali cercano di affrontare una situazione, un problema; questi stessi schemi, nonostante possano non essere sempre funzionali, garantiscono sicurezza e stabilità (la famosa “Confort zone”)
Ma allora quali modalità di apprendimento possono essere attivate dalla formazione con il contributo delle neuroscienze?
La ricerca ha dimostrato che per ottenere cambiamenti nelle solide e resistenti strutture inconsce del nostro cervello si devono mettere in campo strategie basate sulla ripetizione di specifici comportamenti.
Perché una sola volta non è sufficiente in fase di apprendimento?
L’apprendimento non è altro che la creazione di nuove connessioni neuronali. Non appena create, queste sono fragili e facilmente annientabili. Per rendere più forti le nuove connessioni è necessario ripetere, ripetere, e ancora ripetere, altrimenti andremo incontro alla cosiddetta curva dell’oblio.
L’intensità della ripetizione le rende più forti, accelerando efficacemente l’attività neuronale coinvolta, rendendola così più efficace.
Si tratta di un cambiamento lento che si esprime attraverso la scelta di piccole azioni concrete da ripetere nel tempo e che consentirà una rimodulazione delle nostre strutture neurali attraverso l’esperienza (concetto di neuro plasticità del cervello, di nuove connessioni).
Alla tradizionale formazione d’aula caratterizzata da una full immersion in cui trasferiamo contenuti tecnico-normativi, si dovrà affiancare un modello di distribuzione temporale di pochi e brevi messaggi, focalizzati, emotivamente coinvolgenti e soprattutto ripetuti in continuazione perché vengano memorizzati. Evidentemente, apprendere richiede fatica, applicazione e continuità. Questa condotta, nel tempo, garantirà risultati importanti.
A ciò si dovranno aggiungere altri ingredienti:
- la relazione: il potere della condivisione (“social influence” o “contagio morale”) è molto più elevato del contributo del singolo
- le caratteristiche del docente
- Il binomio mente-corpo: importanza della promozione di uno stile di vita orientato al benessere dell’individuo e che presupponga
- un’alimentazione sana ed equilibrata: seguendo uno stile di vita sano e una dieta equilibrata, il cervello rimarrà più giovane e attivo evitando malattie degenerative
- allenamento: lo sport “tonifica” il cervello e contrasta gli effetti del tempo
- qualità del sonno: il sonno promuove lo sviluppo cerebrale e le funzioni cognitive; stabilizza il tono dell’umore, allevia tensioni e riduce i livelli di ansia e stress
- atteggiamento di scoperta: uscire dalla Confort zone per accogliere nuove opportunità di miglioramento, per fare nuove esperienze, per acquisire nuove competenze
- attività di coaching: il coaching va inteso come training di supporto al ruolo e guida per sviluppare energia, coinvolgimento, entusiasmo personale e, all’interno del proprio team, per acquisire strumenti che consentano di riconoscere, gestire e disinnescare comportamenti difficili.
Discipline come le Neuroscienze, la Cronobiologia, la Psicologia Positiva e del Ben-essere sono chiamate a costruire percorsi formativi che integrino elementi cognitivi, comportamentali e affettivi del processo decisionale relativo al rischio.
Solo capendo come funziona il cervello, nello specifico come recepisce i messaggi, possiamo costruire una formazione efficace che addirittura riesca ad orientare i comportamenti e le scelte in materia di sicurezza e che agevoli azioni sicure e decisioni migliori sul lavoro, a casa e in viaggio.