Cassazione Civile, Sezione Lavoro, ordinanza n. 9120 del 5 aprile 2024.
MASSIMA:
“In materia di tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore, il datore di lavoro, in caso di violazione della disciplina antinfortunistica, è esonerato da responsabilità soltanto quando la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell’abnormità, dell’imprevedibilità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute. Qualora non ricorrano simili caratteristiche nella condotta del lavoratore, l’imprenditore è integralmente responsabile dell’infortunio che sia conseguenza dell’inosservanza delle norme antinfortunistiche, poiché la violazione dell’obbligo di sicurezza integra l’unico fattore causale dell’evento, non rilevando in alcun grado l’eventuale concorso di colpa del lavoratore, posto che il datore di lavoro è tenuto a proteggerne l’incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza”.
CONCETTO TRATTATO:
Danno da infortunio sul lavoro, basta la prova dell’inadempimento e del nesso causale: per ottenere il risarcimento il lavoratore non deve dimostrare anche la colpa del datore di lavoro.
COMMENTO:
Una Corte d’Appello, in accoglimento dell’appello proposto da una società datrice di lavoro, aveva rigettato la domanda di un lavoratore diretta ad ottenere il risarcimento del danno differenziale conseguente ad un infortunio subìto mentre effettuava il rifornimento di gasolio per il camion che aveva in dotazione.
I giudici di secondo grado avevano ritenuto che le prove testimoniali, assunte in primo grado, non consentivano di ricostruire la dinamica dell’incidente; inoltre, dal ricorso introduttivo del giudizio non erano risultate quali norme di prevenzione sarebbero state violate dal datore di lavoro, per cui l’incidente sarebbe stato da attribuire alla negligenza ed imprudenza dello stesso ricorrente.
Avverso tale sentenza, il lavoratore proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che l’incidente era invece da attribuirsi alla responsabilità esclusiva del datore di lavoro per non avere adottato le opportune misure di sicurezza nell’area di sosta dove era ubicato il serbatoio del gasolio per il rifornimento dei mezzi; sottolineava inoltre che la suddetta dinamica era riportata nella denuncia di infortunio e trasmessa dalla società all’Inail, il quale aveva riconosciuto e indennizzato il danno.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9120 depositata il 5 aprile 2024, accoglieva il ricorso.
Infatti, veniva enunciato il principio di diritto secondo cui l’imprenditore è integralmente responsabile dell’infortunio che sia conseguenza dell’inosservanza delle norme antinfortunistiche, a eccezione dei soli casi in cui la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell’abnormità, dell’imprevedibilità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute.
L’art. 2087 c.c. impone all’imprenditore di adottare tutte le misure e le cautele atte a preservare l’integrità psicofisica dei lavoratori, tenuto conto delle caratteristiche concrete dei luoghi di lavoro e, in generale, della realtà aziendale. L’obbligo di sicurezza imposto dall’art. 2087 c.c. si inserisce nella struttura del rapporto obbligatorio tra lavoratore e datore di lavoro ed è fonte di responsabilità contrattuale.
Le caratteristiche dell’obbligo di sicurezza si riflettono sul contenuto degli oneri di allegazione e prova che gravano sul creditore dell’obbligo medesimo, il lavoratore: “Questi, ove agisca verso il datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio, ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 c.c.”.
Nel caso di specie, il lavoratore nel ricorso introduttivo della lite descriveva lo stato dei luoghi aziendali, esattamente del distributore ove egli doveva fare rifornimento per il veicolo in dotazione, sottolineando l’esistenza di un dislivello tra il piano di calpestio e il distributore e la assenza di barriere protettive e di sistemi di riavvolgimento automatico della pompa, condizioni tali da rendere concreto il pericolo di caduta nell’esecuzione delle operazioni di rifornimento.
Così la Corte: “Occorre, ancora e sotto diverso profilo, considerare che, in materia di tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore, il datore di lavoro, in caso di violazione della disciplina antinfortunistica, è esonerato da responsabilità soltanto quando la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell’abnormità, dell’imprevedibilità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute”.
Pertanto, se non ricorrono simili caratteristiche nella condotta del lavoratore, l’imprenditore è integralmente responsabile dell’infortunio che sia conseguenza dell’inosservanza delle norme antinfortunistiche, poiché la violazione dell’obbligo di sicurezza integra l’unico fattore causale dell’evento, non rilevando in alcun grado l’eventuale concorso di colpa del lavoratore, posto che il datore di lavoro è tenuto a proteggerne l’incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza.
In sintesi, il lavoratore ha l’onere di provare il fatto costituente, l’inadempimento e in nesso di causalità materiale tra inadempimento e danno, ma non la colpa datoriale.
L’onere di allegazione del lavoratore non può estendersi fino a comprendere l’individuazione delle specifiche norme di sicurezza violate dal datore di lavoro, in particolare, come nel caso in questione, nel caso in cui non si tratta di misure tipiche o nominate.
La Cassazione riteneva quindi che la Corte d’appello non avesse fatto corretta applicazione dei principi finora richiamati, sia quanto al contenuto dell’onere di allegazione e prova del lavoratore, avendo ritenuto necessaria l’individuazione delle norme di prevenzione violate, e sia nella valutazione della eventuale negligenza di quest’ultimo, avendo considerato la stessa idonea da sola ad elidere la responsabilità datoriale. Per questi motivi, la Corte accoglieva il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinviava alla Corte d’appello, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.