- Aggiornato il - Sentenze & Norme

30452

Vi è responsabilità del datore di lavoro per avere, anche solo colposamente, omesso di impedire che un ambiente di lavoro stressogeno provocasse un danno alla salute del lavoratore.

Cassazione Civile, Sez. Lavoro, ordinanza n. 5061 del 26 febbraio 2024.

MASSIMA:

“La riscontrata assenza degli estremi del mobbing non fa venire meno la necessità di valutare e accertare l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per avere anche solo colposamente omesso di impedire che un ambiente di lavoro stressogeno provocasse un danno alla salute dei lavoratori”.

CONCETTO TRATTATO:

In caso di accertata insussistenza degli estremi del mobbing, il giudice deve comunque accertare l’eventuale responsabilità del datore di lavoro.

COMMENTO:

Un soggetto impugnava la sentenza con cui una Corte d’Appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda volta ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa di comportamenti persecutori tendenti al demansionamento, asseritamente adottati nei suoi confronti dal Sindaco e dal Segretario di un Comune, presso il quale egli aveva prestato servizio quale funzionario amministrativo contabile.

Il funzionario ricorreva allora in Cassazione, sostenendo, tra i vari motivi, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla negata sussistenza di condotte vessatorie subite dal ricorrente ed idonee a provocargli un danno alla salute.

La Cassazione, con ordinanza n. 5061 depositata il 26 febbraio 2024, accoglieva il motivo di ricorso di cui sopra, rigettando tutti gli altri.

A parere della Corte, la sentenza della Corte d’Appello era corretta nella parte in cui aveva motivato l’accertamento negativo del mobbing lavorativo; invece aveva errato avendo ritenuto sufficiente escludere la configurabilità del mobbing lavorativo per rigettare totalmente la domanda di risarcimento del danno proposta dal ricorrente.

Infatti, l’ambito della responsabilità del datore di lavoro per il pregiudizio alla salute e alla personalità morale del lavoratore (art. 2087 c.c.) è ben più ampio di quello occupato dalla più grave fattispecie del mobbing.

Così la Corte: “La Corte d’Appello non avrebbe dovuto rigettare immediatamente la domanda di risarcimento del danno alla salute pur accennando all’esistenza di una patologia (“v. certificazione medica”) dovuta a una “situazione di tensione interpersonale venutasi a creare sul luogo di lavoro”. Questa Corte ha già avuto diverse volte occasione di affermare che la riscontrata assenza degli estremi del mobbing non fa venire meno la necessità di valutare e accertare l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per avere anche solo colposamente omesso di impedire che un ambiente di lavoro stressogeno provocasse un danno alla salute dei lavoratori”.

In pratica, veniva ribadito che la riscontrata assenza degli estremi del mobbing non fa venire meno la necessità di valutare e accertare l’eventuale responsabilità del datore di lavoro, il quale rimane responsabile, anche solo colposamente, in quanto è obbligato ad impedire che un ambiente di lavoro stressogeno cagioni un danno alla salute dei lavoratori.

Veniva chiarito il principio secondo cui “è illegittimo che il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori (…), lungo la falsariga della responsabilità colposa del datore di lavoro che indebitamente tolleri l’esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute, cioè nociva, ancora secondo il paradigma di cui all’art. 2087 cod. civ.”

Veniva infine stabilito come l’art. 2087 c.c. non prevede un’ipotesi di responsabilità oggettiva del datore di lavoro per i danni subiti dai lavoratori a causa dell’esecuzione della prestazione lavorativa, ma lo onera della prova di avere adottato tutte “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Secondo la Corte, quindi, la sentenza impugnata doveva essere cassata sotto questo profilo, attenendosi al principio per cui in caso di accertata insussistenza dell’ipotesi di mobbing in ambito lavorativo, il giudice del merito deve comunque accertare se, sulla base dei medesimi fatti allegati a sostegno della domanda, sussista un’ipotesi di responsabilità del datore di lavoro per non avere adottato tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, erano possibili e necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, fermo restando che grava su quest’ultimo l’onere della prova della sussistenza del danno e del nesso causale tra l’ambiente di lavoro e il danno, mentre grava sul datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le misure necessarie. Per questi motivi la Corte accoglieva il motivo di ricorso, cassava la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviava alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, anche per decidere sulle spese legali del giudizio di legittimità.

Con soddisfazione comunichiamo il rinnovo dell’accreditamento della Regione Piemonte per la formazione!