Cassazione Civile, sezione Lavoro, ordinanza n. 13639 del 16 maggio 2024.
MASSIMA:
“Non sussiste la retribuzione per la vestizione e svestizione aziendale quando il prestatore non abbia l’obbligo di indossare certi indumenti. Nel caso, poi, (come nella fattispecie) in cui ci sia una discrezionalità nell’indossare i Dpi (dispositivi di protezione individuale) questi vengono utilizzati solo dopo aver timbrato il cartellino e, quindi rientrano, a pieno titolo nel tempo di lavoro, senza, quindi, che sia necessaria una retribuzione ad hoc”.
CONCETTO TRATTATO:
Il tempo impiegato per indossare e togliere l’abbigliamento da lavoro non viene retribuito se non vi è un preciso obbligo di indossare tali capi.
COMMENTO:
Alcuni dipendenti di una società chiedevano il riconoscimento di 20 minuti per turno, da febbraio 2014 a luglio 2019, come orario di lavoro per il tempo impiegato a indossare e togliere la divisa (cd. tempo-tuta).
La Corte di Appello aveva respinto la richiesta, affermando che i lavoratori non avevano l’obbligo di indossare la divisa nei locali aziendali, sottolineando come tutti i lavoratori di quella ditta non avevano alcun obbligo di indossare gli abiti da lavoro negli appositi spogliatoi ubicati all’interno dei locali aziendali, ben potendo recarsi al lavoro e far ritorno a casa indossandoli.
I dipendenti si rivolgevano alla Corte di Cassazione, attraverso due motivi di ricorso: col primo si sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato quando aveva proceduto alla ricostruzione del principio del tempo di lavoro ricomprendendovi esclusivamente le operazioni in senso stretto riconducibili alla prestazione lavorativa, in quanto specificamente oggetto della disciplina organizzativa di impresa; col secondo, si evidenziava come la Corte avrebbe preteso di escludere la possibilità di configurazione di una divisa da lavoro per il solo fatto che gli indumenti utilizzati per l’esecuzione della prestazione lavorativa (conduzione impianti in una industria oleochimica) non fossero finalizzati alla protezione di un rischio specificamente individuato e tipizzato dalla disciplina aziendale.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13639 depositata il 16 maggio 2024, rigettava il ricorso.
Infatti, secondo la Corte, “la sentenza impugnata è, infatti, conforme alla giurisprudenza in materia secondo cui il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale rientra nell’orario di lavoro se è assoggettato al potere di conformazione del datore di lavoro”.
L’accertamento in ordine al fatto che le operazioni di vestizione e svestizione rientrino o meno nel potere di conformazione della prestazione da parte della società datrice – in ordine al luogo ed alle modalità della prestazione, all’ottemperanza a prescrizioni datoriali contenute nel regolamento aziendale ed alla interpretazione del medesimo, al collegamento funzionale all’espletamento dell’attività in conformità con le previsioni di legge in tema di igiene – costituisce indagine di competenza del giudice del merito, escludendo così il sindacato di legittimità della Corte di Cassazione.
I ricorrenti, nel caso di specie, pretendevano di sollecitare una nuova indagine sui fatti ma nel corso di causa venivano comunque accertati alcuni fatti, tra cui:
- tutti i lavoratori della ditta non avevano alcun obbligo di indossare gli abiti da lavoro (il cui utilizzo restava facoltativo);
- non sussisteva alcun obbligo imposto dalla ditta di indossare gli indumenti da lavoro forniti;
- per quanto riguardava i “DPI specifici (come, ad esempio, i guanti da lavoro e in nitrile, gli occhiali, le visiere di protezione, le mascherine per le polveri e le cuffie antirumore) utilizzati esclusivamente in caso di necessità e conservati in armadietti di reparto, assegnati a ciascun lavoratore, veniva confermato che ad essi si accedeva solo dopo aver timbrato il cartellino, durante l’orario di lavoro.
Pertanto, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti al pagamento delle spese.