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Chi deve verificare la natura dei rifiuti di cui è contestata la gestione non autorizzata?

Cassazione Penale, sentenza n. 38811 del 22 ottobre 2024.

MASSIMA:

La natura di rifiuto pericoloso di un veicolo fuori uso non necessita di particolari indagini o accertamenti, quando risulti, anche soltanto per le modalità di raccolta e deposito, che lo stesso non sia stato sottoposto ad alcuna operazione finalizzata alla rimozione dei liquidi o delle altre componenti pericolose”.

CONCETTO TRATTATO:

La vertenza riguarda un soggetto che aveva abbandonato diversi veicoli in disuso, rifiuti a cui – nella precedente contestazione – non era stato attribuito il corretto codice CER).

COMMENTO:

Un Tribunale,su concorde richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., applicava ad un soggetto la pena di Euro 4.000,00 di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152 del 2006 (ascrittogli per aver depositato in modo incontrollato rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione), con contestuale riconoscimento dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario.

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo l’illegalità della pena applicata su richiesta delle parti, in quanto non corrispondente per specie a quella astrattamente prevista dalla norma violata; infatti, il Pubblico ministero ricorrente sottolineava che l’art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152 del 2006, richiamava le pene di cui al primo comma e, segnatamente, la pena prevista dal comma 1, lettera b) del medesimo articolo, che punisce il deposito incontrollato di rifiuti pericolosi, quali quelli oggetto della condotta contestata, con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda. Sarebbe risultata, dunque, illegale la pena applicata della sola ammenda perché non conforme a quella prevista per il reato ascritto all’imputato e oggetto del concordato di pena, in quanto la condotta aveva avuto ad oggetto anche rifiuti qualificabili come pericolosi.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 38811 depositata il 22 ottobre 2024, riteneva il ricorso fondato.

Secondo la Corte, la mancata indicazione nella imputazione della pericolosità dei rifiuti depositati in modo incontrollato dall’imputato non avrebbe escluso che la condotta potesse essere qualificata come di deposito incontrollato di rifiuti (anche) pericolosi, punita con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda, con la conseguente illegalità della sola pena pecuniaria applicata all’imputato, qualora dalla descrizione della condotta contenuta nella imputazione risultasse con chiarezza che questa avesse avuto quale oggetto anche rifiuti qualificabili come pericolosi: “la qualificazione giuridica della condotta contestata spetta, infatti, al giudice, che, sulla base della descrizione della stessa contenuta nella imputazione, deve individuare la fattispecie nella quale la stessa sia sussumibile”.

La Corte sosteneva come fosse necessario dunque verificare la natura dei rifiuti di cui era contestato l’abbandono, in quanto era pacifico che la loro differente qualificazione, che, come ricordato, era compito del giudice, trattandosi di ricondurre le specie di rifiuti oggetto della condotta alle varie categorie tipizzate dal legislatore, era idonea a determinare la configurabilità di fattispecie criminose di diversa pericolosità, le quali soggiacciono alle distinte pene previste nelle lettere a) e b) dell’art. 256, comma 1, D.Lgs. 152 del 2006.

Nel caso di specie veniva contestato il deposito incontrollato di una serie di rifiuti, così elencati: apparecchiature elettroniche fuori uso, cosiddette RAEE, quali frigoriferi di vecchia generazione e lavatrici; rifiuti speciali di demolizione edilizia; cavi elettronici e vari rifiuti ingombranti plastici e ferrosi; due cisterne di vetroresina; vari contenitori di rifiuti derivanti da terra e rocce da scavo; nonché tre autoveicoli e un motociclo sprovvisti di targa e in evidente stato di fuori uso.

In tale contestazione era possibile individuare almeno due categorie di rifiuti pericolosi: “le apparecchiature fuori uso, contenenti clorofluorocarburi” e “i veicoli fuori uso” (la natura di rifiuto pericoloso di un veicolo fuori uso non necessita di particolari indagini o accertamenti, quando risulti, anche soltanto per le modalità di raccolta e deposito, che lo stesso non sia stato sottoposto ad alcuna operazione finalizzata alla rimozione dei liquidi o delle altre componenti pericolose).

Risultava pertanto evidente che, almeno per una parte dei rifiuti oggetto della condotta contestata, la disciplina applicabile era quella di cui all’art. 256, comma 1, lett. b) D.Lgs. n. 152 del 2006, che punisce il deposito o l’abbandono di rifiuti pericolosi con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda. La pena in concreto applicata, solo pecuniaria, risultava dunque illegale.

Conseguentemente la Corte annullava senza rinvio la sentenza impugnata e disponeva di trasmettere gli atti al Tribunale per l’ulteriore corso.

Con soddisfazione comunichiamo il rinnovo dell’accreditamento della Regione Piemonte per la formazione!