Cassazione Penale, sentenza n. 33283 del 29 agosto 2024.
MASSIMA:
“Per il perfezionamento del reato di deposito incontrollato di rifiuti pericolosi e non pericolosi, ex art. 256 D.Lgs. 152/2006, non è richiesta la contaminazione del suolo, del sottosuolo o delle acque, che determinerebbe, invece, la configurabilità anche di altri reati; l’aspetto della contaminazione può semmai assumere rilevanza nella valutazione delle conseguenze della condotta e della sua gravità.”.
CONCETTO TRATTATO:
Condannato il titolare di una autofficina per aver depositato in un’area adiacente alla sua attività diversi rifiuti come filtri dell’olio, pneumatici e veicoli fuori uso, metalli ferrosi e catalizzatori esauriti.
COMMENTO:
Una Corte d’Appello rigettava l’impugnazione proposta da un soggetto nei confronti della sentenza del Tribunale, con la quale lo stesso era stato condannato in relazione al reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) e b), D.Lgs. n. 152 del 2006 (per avere, quale titolare della autofficina omonima, depositato in modo incontrollato in un’area non pavimentata della superficie di circa 255 mq adiacente alla officina, rifiuti pericolosi e non pericolosi, costituiti da oli per motori, ingranaggi e lubrificanti, imballaggi contenenti residui di sostanze pericolose, assorbenti, filtri dell’olio, pneumatici fuori uso, veicoli fuori uso, metalli ferrosi e non ferrosi, plastica, vetro, componenti pericolosi, catalizzatori esauriti e batterie al piombo).
L’imputato proponeva quindi ricorso per cassazione sostenendo che, dopo aver censurato la qualificazione come rifiuti abbandonati di quanto rinvenuto nell’area adiacente alla autofficina del ricorrente, trattandosi di residui della attività del ricorrente medesimo, correttamente raggruppati in vista dello smaltimento (dunque riconducibili a un deposito temporaneo), e di attrezzature e parti riutilizzabili, come pezzi di ricambio usualmente impiegati nella attività di officina meccanica, nei primi gradi di giudizio non era stata considerata la mancata considerazione della insussistenza di danni ambientali e la non abitualità della condotta. Pertanto la difesa ribadiva la erroneità della qualificazione come rifiuti pericolosi di quanto depositato nell’area adiacente l’officina e anche l’insussistenza di contaminazioni del terreno (come accertato dalle analisi eseguite su richiesta del ricorrente), sottolineando la mancanza nel ricorrente della volontà di disfarsi di quanto depositato nei pressi della sua officina e, quindi, la qualificabilità di tali beni come rifiuti chiedendo conseguentemente che fosse valutata la particolare tenuità del fatto.
Il ricorso, con sentenza n. 33283 depositata il 29 agosto 2024, veniva dichiarato inammissibile.
Infatti, con tale sentenza, veniva sottolineata la qualificazione come rifiuti di quanto depositato disordinatamente e direttamente sul suolo nell’area adiacente l’officina del ricorrente, sottolineandone le caratteristiche (una carcassa di autocarro OM50 contenente materiale ferroso, parti di gomme e di veicoli, circa 240 pneumatici, 3 autoveicoli, blocchi di motori, pezzi di autovetture e altro materiale) e le modalità di custodia, alla rinfusa e direttamente sul suolo, tanto da essere circondati e parzialmente ricoperti da vegetazione; veniva altresì esclusa l’idoneità alla circolazione delle tre vetture presenti nell’area, evidenziando come le stesse fossero piene di materiale inerte, prive di targa e non nelle condizioni di marciare (essendo prive di alcune componenti fondamentali).
Così la Corte: “Quanto sottolineato dal ricorrente, a proposito della assenza di contaminazioni del suolo, oltre a riguardare accertamenti di fatto non valutabili nel merito dalla Corte di cassazione, non incide, comunque, sulla configurabilità del reato di deposito incontrollato di rifiuti pericolosi e non pericolosi, che non richiede per il suo perfezionamento la contaminazione del suolo, del sottosuolo o delle acque, che determinerebbero, invece, la configurabilità anche di altri reati”.
La Corte escludeva anche la particolare tenuità del fatto sottolineando il rilevantissimo quantitativo di rifiuti, la loro tipologia e le condizioni di abbandono nelle quali furono rinvenuti, indicative di una condotta grave e protratta nel tempo, tale da determinare una situazione di pericolo per la salubrità dell’ambiente; non risultava neppure essere stata eseguita alcun tipo di bonifica.
L’imputato veniva giustamente condannato pur considerando la mancata commissione di altri reati (ossia dell’inquinamento delle acque e del suolo), che certamente, di per sé, non avrebbe determinato la particolare tenuità del fatto alla luce di quanto emerso nel corso dei giudizi.
Pertanto, la Corte dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.