Cassazione Penale, sentenza n. 24276 del 19 giugno 2024.
MASSIMA:
“Ai fini della configurazione del reato di gestione non autorizzata di rifiuti ai sensi dell’art. 256 comma 1, lettere a) e b) del D.Lgs n. 152/2006, a fronte di un attività di raccolta di rifiuti pericolosi e non pericolosi in mancanza della prescritta autorizzazione, la difesa incentrata sulla mera occasionalità della condotta, finalizzata a scriminare il reato contestato come abbandono o deposito di rifiuti ai sensi dell’art. 255 del Testo Unico ambientale, richiede l’assolvimento dell’onere della prova che ricade sull’imputato, che deve dimostrare che l’accertata presenza di un ingente quantitativo di rifiuti eterogenei sia addebitabile a fattori del tutto contingenti e temporanei, laddove il quantitativo stesso di rifiuti composti da asfalto e terreno costituisce elemento adeguato a sostenere la tesi accusatoria”.
CONCETTO TRATTATO:
In merito al reato di gestione dei rifiuti non autorizzata, occorre provare l’occasionalità della condotta per evitare la responsabilità.
COMMENTO:
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24276 depositata il 19 giugno 2024, si esprimeva sul ricorso avverso la sentenza che dichiarava un’imputata colpevole dell’attività di gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256, comma 1, TUA). Quest’ultima lamentava l’erronea applicazione della legge penale, per non aver qualificato la condotta come abbandono di rifiuti (art. 255 TUA), basandosi la sentenza impugnata esclusivamente sulla quantità sversata e non tenendo conto dell’occasionalità della condotta.
In particolare, la ricorrente richiamava la giurisprudenza in forza della quale le condotte di gestione illecita di rifiuti avrebbero rilievo penale soltanto se non occasionali, lamentando che la responsabilità sarebbe stata affermata soltanto in ragione della quantità sversata sul suolo, senza alcuna considerazione per la assoluta occasionalità della raccolta contestata e per la natura del materiale in questione (asfalto e terreno), suscettibile di essere riutilizzato in considerazione dell’attività svolta dalla società amministrata dalla ricorrente, qual è l’esecuzione di lavori stradali.
La Cassazione riteneva il ricorso infondato, in quanto in corso di causa si era riscontrata un’attività di raccolta di rifiuti non pericolosi eseguita senza alcuna autorizzazione, peraltro con oggetto una quantità di prodotto tutt’altro che esigua.
A fronte di tali pacifici elementi, l’imputata contestava il mancato accertamento di un requisito negativo della condotta di reato, quale la non occasionalità della stessa. La censura, tuttavia, non individuava neppure un dato o un argomento – eventualmente offerti al Giudice del merito e non valutati – dai quali trarre il carattere meramente episodico dell’accaduto, tale da consentirne la qualifica di abbandono o deposito ai sensi dell’art. 255, D.Lgs. n. 152 del 2006.
Essendo stata accertata la presenza di ben 150 metri cubi di rifiuti e l’accesso sull’area di camion contenenti ancora materiale di risulta, avrebbe dunque costituito onere della difesa dimostrare che ciò fosse addebitabile a fattori del tutto contingenti e temporanei, ossia indicare – e provare – che un tale quantitativo, di per sé adeguato a sostenere la tesi accusatoria della raccolta, costituisse, invece, oggetto di abbandono o deposito.
Tale onere probatorio, tuttavia, non era stato assolto dalla difesa, che non deduceva alcun elemento concreto sul punto.
Inoltre, la tesi per cui “non fosse possibile escludere che tale materiale ivi giacente, costituito da asfalto e terreno, potesse essere oggetto di riutilizzo in considerazione della natura dell’attività svolta dalla società”, costituiva una mera congettura non supportata da riscontri.
Per questi motivi la Corte dichiarava inammissibile il ricorso e condannava la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.